L’Umbria non è regione per giovani: nel ternano persi 4000 under 35 in 10 anni

Tra il 2014 e il 2024, l’Umbria ha perso oltre 15 mila giovani, registrando un calo dell’8,6%. Secondo la Cgia di Mestre, è la peggiore del Centro Italia. Differenza impressionante nelle nascite nell'ultimo decennio

Negli ultimi dieci anni, l’Umbria ha registrato un calo di oltre 15 mila giovani, un dato che la posiziona come la regione con la peggiore performance demografica del Centro Italia. A fornire il quadro della situazione è la Cgia di Mestre, che ha analizzato il periodo 2014-2024, evidenziando una riduzione dell’8,6% della popolazione tra i 15 e i 34 anni (-5.420 unità), a fronte di una media nazionale negativa ma più contenuta, pari al 5,8%.

Secondo l’analisi, il numero dei giovani in Umbria è passato da circa 178.700 nel 2014 a poco più di 163.300 nel 2024. Il confronto con le regioni confinanti evidenzia una situazione ancora più critica: in Toscana, ad esempio, il calo è stato di poco più di 10 mila unità, ma pari solo all’1,4% della fascia d’età considerata; nel Lazio, pur con una perdita di quasi 70 mila giovani, la contrazione si ferma al 5,8%; nelle Marche, il calo è stato di 23.700 unità (-7,5%). Peggio dell’Umbria fanno solo alcune regioni del Sud, con la Calabria che registra un drammatico -18,9%.

A livello provinciale, la provincia di Terni ha registrato una perdita maggiore rispetto a Perugia. Nella parte settentrionale dell’Umbria, da Città di Castello a Spoleto, si contano quasi 11.500 giovani in meno (da 135.241 a 123.792), con una riduzione dell’8,5% (posizione 48). Nel territorio ternano, da Terni a Orvieto, il calo è stato del 9,1%, ovvero quasi 4000 giovani in meno (da 43.530 a 39.559, 46. posto). Se invece guardiamo al raffronto fra il 1943 e il 2023, Terni in 80 anni è passata da 3.637 nati a 1.113 (-2500), mentre Perugia è crollata da 11.451 ad appena 3.653 (-7798), con un dato complessivo nell’Umbria che va da 15.088 a 4.766 (-10.332).

La Cgia di Mestre sottolinea che le prospettive future non sono incoraggianti. “Le previsioni non sono affatto rassicuranti, perché la denatalità continuerà a fare sentire i suoi effetti negativi in tutto il Paese”, si legge nel rapporto. A confermare questa tendenza è il confronto tra il numero di nati vivi in Umbria nel 1943 e nel 2023: si è passati da 15.088 a 4.766, segnando un crollo della natalità del 68,4%.

Il focus dello studio ricorda inoltre che, sebbene la crisi demografica sia un problema che interessa molti paesi europei, «in Italia assume proporzioni molto più preoccupanti». Oltre al calo della popolazione giovane, il nostro Paese deve fare i conti con altri indicatori negativi: «Il tasso di occupazione e il livello di istruzione sono tra i più bassi d’Europa, mentre l’abbandono scolastico rimane una problematica significativa soprattutto nelle regioni meridionali”. Secondo gli esperti, queste criticità potrebbero avere conseguenze dirette sul mercato del lavoro e sulle imprese: “Nei prossimi decenni potrebbero esserci ripercussioni gravissime sul mondo imprenditoriale”, si legge nel rapporto, che segnala come già oggi “nel Centro-Nord le aziende incontrano sempre maggiori difficoltà nel reperire personale qualificato, sia per la mancanza di candidati che per l’insufficienza delle competenze delle persone che si presentano ai colloqui”.

Anche per questo la Cgia di Mestre suggerisce di investire su un’immigrazione integrata: ” il nostro Paese dovrebbe prevedere delle corsie preferenziali nell’assegnazione delle quote di
ingresso riservate a coloro che, nel proprio paese d’origine, abbiano frequentato per almeno due anni un corso di lingua italiana e ottenuto una qualifica che attesti il possesso delle competenze professionali richieste dalle nostre imprese. A queste ultime, inoltre, spetterebbe il compito di garantire a questi extracomunitari un’occupazione stabile e un aiuto concreto nella ricerca di un alloggio a prezzo accessibile”

Nel lungo termine la soluzione è ovviamente investire invece sulla formazione. ” Il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro è sempre più evidente e richiede scelte politiche urgenti; investendo, in particolare, molte più risorse nella scuola, nell’università e, soprattutto, nella formazione professionale”, scrivono gli artigiani mestrini.

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