Denuncia il marito violento poi fugge da Terni coi figli: “Ora non saranno italiani”

L'incredibile storia di una donna e dei suoi bambini nati e cresciuti in città: via tre mesi dopo aver denunciato l'uomo, ora per l'attuale normativa, manca la continuità di residenza. E un giovane cuoco è stato licenziato per un documento presentato in ritardo

Perdere il lavoro per un cavillo che ti rende clandestino anche quando non lo sei. O non poter diventare italiano perchè sei scappato dalla violenza. La legge sulla cittadinanza in vigore attualmente porta in dote una serie di storture, assurdità normative che non si riesce a colmare, con gravi difficoltà per i tantissimi ragazzi nati e cresciuti a Terni o in generale in Italia.

La carovana per i referendum sulla cittadinanza che ieri ha toccato Terni ha visto le associazioni raccontare alcune di queste storie. Qualcuna ha veramente dell’assurdo.

“Per tanti anni mi sono occupata di lavoro domestico – racconta Manila Tellini, presidente delle Acli provinciali ternane– e così ho avuto a che fare con una donna di origine africana, che di lavoro fa la collaboratrice domestica che più volte è stata tormentata da un marito violento. Dopo aver denunciato il marito ha provato a scappare nel suo Paese d’origine insieme ai figli, nella speranza che la famiglia del marito l’aiutasse a ricomporre la crisi. Invece la situazione è peggiorata e così è tornata a Terni. I suoi bambini sono nati e cresciuti qui, vanno a scuola qui anche con ottimi voti. Ma adesso, per colpa di questi tre mesi in cui sono scappati per cercare di sopravvivere, non potranno quasi certamente ottenere la cittadinanza italiana nemmeno a 18 anni: perchè il reddito della madre è basso e loro hanno tre mesi di interruzione nella residenza”.

Manila Tellini

L’attuale legge infatti, prevede che i 10 anni di residenza sul territorio debbano essere continuativi: basta anche un solo mese all’estero per azzerare il conteggio. Una storia comune a tanti ragazzi nati e cresciuti qui e che per colpa magari di situazioni non dipendenti dalla loro volontà adesso si trovano a ricominciare da zero: “Quello a cui puntiamo col referendum – spiegano i promotori -è a tornare a cinque anni di residenza, come nel 1992. Tutti gli altri requisiti, come il reddito, la conoscenza della lingua italiana e non aver commersso reati restano come prima”.

I cattolici e la misericordia ad intermittenza

Peraltro, la media per ottenere la cittadinanza oggi è di 13 anni, visto che ai 10 se ne aggiungono i 3 di media per l’esame della domanda: “Senza  la cittadinanza- sottolineano i promotori – ragazzi nati e cresciuti qui, che pagano le tasse qui, vanno a scuola in Italia, parlano italiano addirittura dialetti, non possono votare, nè candidarsi, nè fare concorsi pubblici”.

Mauro Nannini

Manila Tellini parla ai cattolici: “Qual è il rischio che paventano quei cattolici che si oppongono alla cittadinanza? L’islamizzazione? Ma questo non è vero. Anzi, il calo dell’insegnamento della religione cattolica che c’è nelle scuole è dovuto al fatto che i ragazzi italiani non credono più nei valori del cattolicesimo. Che cristiani siamo se non predichiamo l’umanità e la fraternità? Abbiamo una misericordia ad intermittenza, che non funziona con chi è diverso da noi per religione e colore della pelle. Ma l’enciclica di Papa Francesco dice “Fratelli tutti”. Ecco, il ruolo dell’associazionismo, al di là del referendum sarà quello di far capire il valore dell’integrazione”.

Licenziato per un documento mancante

Mauro Nannini, dell’associazione Baraonda racconta un’altra storia assurda: “Ho consciuto un giovane di origine straniera, ma nato e vissuto in Italia: ha studiato, si è diplomato cuoco, ha anche ottenuto un contratto. Prima del compimento dei 18 anni ha presentato la documentazione per la cittadinanza: mancava un documento, l’ha consegnato con tre giorni di ritardo e si è visto rigettare la domanda e ha anche perso il lavoro. Così ha dovuto ricominciare il percorso ad ostacoli”.

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