Un destino scritto tra le mura della fabbrica, tramandato di padre in figlio come un’eredità invisibile ma potente. È questo il filo conduttore di “Operai, storia di un lavoratore italiano”, la pièce teatrale firmata da Germano Rubbi, autore, regista e interprete di un progetto che va oltre il teatro, sfociando nella testimonianza storica e sociale. Lo spettacolo, prodotto da Magazzini Artistici con il sostegno della Fondazione Carit, prende il via martedì 19 agosto al Calvi Festival di Calvi dell’Umbria per poi toccare Amelia, Avigliano Umbro e Lugnano in Teverina in un mini tour che si concluderà venerdì 22 agosto.
Al centro della narrazione, la figura dell’operaio italiano: non un personaggio generico, ma un uomo con un passato, una famiglia e una storia personale che si intreccia a quella collettiva di un’intera classe sociale. Cresciuto all’ombra della fabbrica, il protagonista incarna il percorso di vita segnato da tappe obbligate e suoni ricorrenti: la campanella della scuola, la tromba della caserma, la sirena della fabbrica. Ogni segnale sonoro scandisce il tempo e i doveri di una vita ordinata secondo ritmi imposti dall’esterno.
L’approccio teatrale di Rubbi è originale: la narrazione in terza persona si fonde con l’interpretazione diretta sul palco, creando un effetto di coinvolgimento immediato. Accanto a lui, Fabrizio Bordignon interpreta i vari personaggi che affiancano il protagonista nel suo percorso, mentre Ivo Cibocchi alla fisarmonica, Andrea Pagliacci al contrabbasso e Fabio D’Isanto alle percussioni, completano l’impianto scenico con le musiche firmate da Francesco Verdinelli. Questi elementi concorrono a creare un’atmosfera suggestiva e stratificata, in cui lo spettatore è trasportato in un viaggio tra memoria, realtà e riflessione.
L’idea alla base dello spettacolo nasce da un lavoro di raccolta di testimonianze dirette: Rubbi ha intervistato operai in attività e in pensione, ascoltando i loro ricordi, aneddoti ed emozioni. Ne è nato un testo che non solo racconta una storia individuale, ma restituisce il quadro sociale di un’intera epoca, quella in cui la fabbrica non era solo un luogo di lavoro, ma anche un simbolo di appartenenza, identità e sacrificio.
La narrazione si sviluppa lungo l’arco di una vita intera, dall’infanzia alla pensione – “se mai ci si arriverà”, recita amaramente il testo – ed è punteggiata da una velata ironia, necessaria per alleggerire il peso della tematica e rendere il messaggio ancora più incisivo. Questo equilibrio tra dramma e satira, tra documentario e finzione, conferisce allo spettacolo un’identità forte, capace di parlare al pubblico con sincerità e profondità.
Lo spettatore, più che assistere a un semplice spettacolo teatrale, si trova di fronte a una riflessione collettiva, un’indagine sociologica che restituisce dignità e voce a chi spesso resta invisibile: gli operai. In un momento storico in cui il lavoro manuale è sempre più marginalizzato e l’identità operaia rischia di perdersi nella retorica, “Operai” diventa un atto politico e culturale, un modo per preservare la memoria di una realtà fondamentale per la storia italiana del Novecento.